USA I trimestre 2018: l’export italiano "in fuga"

L’analisi di ciascun comparto rivela forte disomogeneità: cresce l’import dall’Italia dei beni di consumo, crollano i beni di investimento

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Nel primo trimestre 2018, le importazioni degli Stati Uniti dall’Italia sono aumentate del 2.7% in euro rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno, secondo quanto riportato dalle dichiarazioni di commercio estero pubblicate dall’U.S. Census Bureau. Se si considera che, nell’arco degli ultimi 4 trimestri, l’euro si è apprezzato di circa il 15% nei confronti del dollaro, risulta evidente il risultato positivo ottenuto dal Belpaese. Questa valutazione è ulteriormente rafforzata dal fatto che nessun altro paese concorrente ha ottenuto risultati altrettanto positivi (si veda Le importazioni Usa nel primo trimestre 2018).
Alcuni comparti italiani, tuttavia, sembrano soffrire maggiormente del rafforzamento dell’euro.
La treemap di seguito riportata è basata sul valore nel 2017 delle esportazioni italiane dei diversi settori. Essa evidenzia la rilevanza dei seguenti comparti:

  • Beni finiti per la persona;
  • Mezzi di trasporto e agricoli;
  • Beni per la salute;
  • Beni alimentari e bevande.

Nella treemap, inoltre, ciascun comparto è stato colorato in funzione del tasso di variazione tendenziale in euro nel primo trimestre dell'anno in corso (posizionandosi con il mouse sopra ciascun rettangolo è possibile visualizzare i dati relativi al settore selezionato).

Importazioni degli Stati Uniti dall'Italia: tassi di variazione tendenziali I° trimestre 2018


Settori in crescita

I prodotti finiti per la persona importati dagli Stati Uniti dall’Italia si sono avvicinati alla soglia dei 7 miliardi di euro nel 2017, costituendo la principale voce delle esportazioni italiane verso gli USA. Nei prodotti di abbigliamento, calzature e occhialeria, da diversi anni, infatti, l’Italia è uno dei principali partner commerciali statunitensi, grazie alla forza dei brand made in Italy. Nel primo trimestre del 2018 questo successo è stato confermato grazie ad un aumento delle esportazioni italiane in euro prossimo al 10%. L’apprezzamento dell’euro non sembra, quindi, aver penalizzato le imprese italiane di questo settore: la fidelizzazione dei consumatori americani al “bello e ben fatto” permette alle imprese di traslare sui prezzi di vendita in dollari le variazioni subite dal lato del cambio.
Una dinamica simile è registrata dal comparto di prodotti finiti per la casa, dove le nostre esportazioni sono premiate dal design italiano.

Da sottolineare come il tasso di variazione tendenziale più elevato è stato registrato dal settore dei beni per la salute, per il quale la crescita tendenziale supera il 20%. L’aumento risulta assai significativo, considerando il deprezzamento del dollaro, e conferma il vantaggio competitivo italiano nel settore farmaceutico. Questo settore rappresenta, infatti, il 93% dei beni per la salute esportati dall’Italia negli USA. Le sue esportazioni stanno conoscendo una rapida espansione, grazie all’alta specializzazione di PMI italiane e alla capacità di attrazione di filiali di multinazionali straniere.
Anche il settore alimentare italiano in USA non perde terreno; tuttavia, il trend di crescita delle nostre esportazioni sembra in fase di stabilizzazione.

Settori in calo

Le importazioni americane dall’Italia di mezzi di trasporto e agricoli sono risultate pari a 5.6 miliardi di euro nel 2017, ma nel primo trimestre di quest'anno hanno registrato un tasso di variazione tendenziale negativo prossimo alle due cifre. In generale, tuttavia, il trend di crescita non sembra compromesso. I prossimi mesi saranno cruciali per comprendere se le esportazioni italiane saranno interessate significativamente da una fase di rallentamento dell’import americano.
Tassi di variazione ancora più negativi sono stati accusati, infine, dai beni di investimento: i settori più colpiti risultano essere quelli dell’elettrotecnica, dell’impiantistica industriale e dell’attrezzatura ICT; in misura minore anche del comparto di macchine e impianti. Queste dinamiche sembrano segnalare una forza contrattuale delle imprese italiane in questi settori non sufficiente a ribaltare sui prezzi di vendita le variazioni subite dal lato dei cambi.