Lira libanese in caduta libera

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Una valuta che nelle ultime settimane è salita al centro dell’attenzione è la lira libanese. Infatti, benché sul mercato valutario ufficiale il cambio risulti ancora legato al dollaro USA, con un rapporto di 1507.5 LBP per USD, il tasso di cambio sul mercato nero - in deterioramento da ormai più di un anno - ha toccato nuove vette negli ultimi giorni, sfiorando le 15,000 lire per dollaro lo scorso martedì.
Nei giorni successivi il cambio è rientrato su valori più contenuti, rimanendo comunque al di sopra della soglia delle 10,000 lire per dollaro, come emerge dal grafico di seguito. Dall’inizio dell’anno ad oggi, il cambio ha registrato una caduta prossima al 40%.

Tasso di cambio lira libanese verso dollaro USA
(Black market)

Cosa sta succedendo in Libano? La dinamica della valuta sul mercato nero si fa specchio di una situazione economica in caduta libera. Secondo gli analisti, il Libano sta affrontando quella che con buona probabilità può definirsi la sua peggiore crisi politica ed economica degli ultimi 30 anni, dalla fine della guerra civile.

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Come si nota dal grafico sopra riportato, lo storico peg col dollaro, introdotto nel ‘97, ha resistito fino alla fine del 2019, per poi cedere al forte deprezzamento al confluire di tre diverse crisi abbattutesi sul paese: una crisi economico-finanziaria, la crisi sanitaria e infine l’esplosione al porto di Beirut nell’agosto del 2020.
La crisi finanziaria ha avuto inizio nell’ottobre del 2019, a causa di un sudden stop nei flussi di capitale in ingresso, che ha causato fallimenti nel sistema bancario e cominciato ad esercitare effetti sul tasso di cambio. A marzo 2020 il Libano si è trovato di fronte al primo default sovrano della sua storia.
Alla difficile situazione finanziaria si è sommato l’avvento della pandemia, e le relative misure di contenimento che, come negli altri paesi del mondo, hanno paralizzato l’economia. In una situazione già precaria, un’ulteriore tragedia si è abbattuta sul paese: lo scorso 4 agosto si è verificata un’enorme esplosione al porto di Beirut che, oltre a causare numerose vittime, ha generato importanti danni economici, stimati attorno ai 4 miliardi di dollari (fonte: World Bank). Il porto di Beirut costituisce inoltre uno dei principali snodi commerciali, in un paese fortemente dipendente dalle importazioni, mettendo quindi a rischio le possibilità di approvvigionamento di beni.
L’effetto combinato di queste crisi si riflette in una caduta del PIL stimata dall’IMF al -25% nel 2020.


Tali crisi sono inoltre andate a sommarsi alle vulnerabilità preesistenti nel paese: in particolare gli squilibri macro-economici, l’elevato livello di debito pubblico (che supera il 170% del PIL, tra i più alti al mondo), la cattiva gestione delle finanze pubbliche da parte della classe dirigente.

Gli effetti sociali. Il collasso sul fronte economico-finanziario sta avendo pesanti ripercussioni sociali, erodendo pesantemente il potere di acquisto, il valore dei risparmi e spingendo una significativa quota della popolazione sotto la soglia della povertà.
Il deprezzamento record della valuta ha infatti generato un’inflazione altrettanto impressionante: per il 2020 l’IMF stima una crescita dei prezzi all’85%. Il quadro per il comparto alimentare risulta, nell’ultimo mese disponibile, ancora più drammatico: secondo i dati della Central Administration of Statistics della repubblica libanese, a dicembre l’indice dei prezzi al consumo per il comparto cibo e bevande non alcoliche sarebbe salito di circa il 400% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, tanto che il governo si è trovato di fronte alla necessità di introdurre sussidi per alcuni beni di prima necessità.


Le condizioni di vita sempre più precarie per la maggior parte della popolazione, il continuo stallo sul fronte politico, la valuta a livelli di deprezzamento record hanno esacerbato il malcontento popolare; nelle ultime settimane i libanesi sono di nuovo scesi in strada per protestare contro la classe dirigente e l’attuale situazione nel paese, dopo che il Covid aveva messo in pausa proteste in realtà iniziate a fine 2019.
Una delle principali accuse rivolte alle istituzioni è lo stallo politico: dopo le dimissioni del governo in seguito all’esplosione di agosto, sono in corso da ottobre trattative per la formazione di un nuovo governo, che non hanno per il momento dato esito positivo. A fronte di un governo uscente con poteri limitati, vengono posticipate le necessarie riforme per ridare solidità all’economia del paese e ricostruire la fiducia dei mercati – riforme oltretutto necessarie per accedere ad aiuti internazionali.