Dazi USA e competitività: perché l’elasticità di sostituzione conta
Capire la sostituibilità dei prodotti per valutare gli effetti sulle esportazioni europee sul mercato americano
Pubblicato da Silvia Brianese. .
Stati Uniti Import
Con il nuovo Ordine Esecutivo “Further Modifying the Reciprocal Tariff Rates”, firmato il 31 luglio 2025, l'amministrazione Trump ha rivisto il sistema di dazi reciproci introdotto il 2 aprile 2025. In origine era stata applicata una tariffa universale aggiuntiva del 10% su tutte le importazioni, con aliquote più elevate solo per alcuni Paesi.
Dal 7 agosto 2025 sono entrate in vigore le nuove tariffe: dazi ad valorem aggiuntivi, differenziati per ciascun partner commerciale in funzione della sua posizione negoziale con gli Stati Uniti. Questa impostazione crea una gerarchia di competitività, rendendo le importazioni da alcuni Paesi relativamente più convenienti rispetto ad altre.
Come discusso nell’articolo "Export alimentare italiano negli USA: chi paga il dazio?" sul caso delle esportazioni italiane negli Stati Uniti, un aumento dei dazi doganali determina un incremento del prezzo all’importazione, qualora il costo del dazio venga trasferito, anche solo parzialmente, sul prezzo finale al consumatore americano.
Ciò riduce la competitività dei prodotti esteri e, allo stesso tempo, penalizza i consumatori statunitensi, costretti a scegliere se pagare un prezzo maggiorato oppure sostituire i beni importati con prodotti alternativi.
Come analizzare gli effetti di un aumento dei dazi alle importazioni sulla domanda estera statunitense?
La reazione della domanda estera statunitense dipende da quanto i consumatori sono disposti a modificare le proprie scelte in risposta ai cambiamenti di prezzo generati dai dazi doganali. Questo effetto può essere misurato attraverso l’elasticità di sostituzione commerciale ai prezzi relativi, che in questo contesto si articola in due principali componenti:
- Elasticità di sostituzione tra importazioni e produzione domestica, che misura come varia la domanda di beni importati, rispetto a quella di beni prodotti internamente, al mutare dei prezzi relativi (ad esempio, in seguito all’applicazione di un nuovo dazio sull’import);
- Elasticità di sostituzione tra fornitori esteri, che indica la propensione dei consumatori americani a sostituire un bene proveniente da un determinato Paese con un prodotto simile offerto da un altro Paese, a fronte di variazioni nei prezzi relativi.
Questi due meccanismi agiscono contemporaneamente e concorrono a determinare la reazione della domanda statunitense a livello di singolo prodotto.
L’intensità dell’effetto dipende non solo dal livello del dazio introdotto, ma anche da altri fattori, come la tipologia di bene (di consumo o di investimento) e le preferenze dei consumatori statunitensi. Queste ultime risultano particolarmente rilevanti, poiché incidono sul grado di sostituibilità: beni di alta qualità e con caratteristiche distintive (come lo Champagne francese o il formaggio Grana Padano italiano) tendono a essere poco sostituibili, spingendo i consumatori ad acquistarli anche a prezzi più elevati. Al contrario, prodotti standardizzati e venduti su larga scala risultano facilmente sostituibili con alternative più economiche, prodotte localmente o provenienti da altri Paesi.
Un ulteriore elemento da considerare riguarda la quota del dazio effettivamente trasferita sul prezzo finale negli Stati Uniti. Tale quota dipende dal margine che le imprese esportatrici sono disposte ad assorbire riducendo i propri profitti, al fine di non perdere completamente la presenza sul mercato americano.
La quantificazione delle elasticità di sostituzione offre vantaggi significativi sotto due prospettive:
- Policy: consente di prevedere l’andamento delle esportazioni di un Paese in seguito a shock commerciali, come un aumento delle tariffe doganali;
- Business: rappresenta uno strumento utile per definire le strategie di prezzo delle imprese esportatrici, che possono così adattare le proprie decisioni commerciali alle nuove condizioni di mercato.
Quantificare l’elasticità di sostituzione commerciale: tra sfide e opportunità
La stima dell’elasticità di sostituzione product-specific (sia tra importazioni e produzione domestica, sia tra importazioni provenienti da Paesi diversi) è un tema ricorrente nella letteratura economica, ma si scontra con difficoltà metodologiche e, soprattutto, con la scarsa disponibilità di dati affidabili.
Se da un lato sono disponibili informazioni dettagliate sulle importazioni e sui relativi prezzi a livello di singolo prodotto, dall’altro i dati relativi alla domanda interna e ai prezzi dei beni nazionali sono reperibili solo a livello di macro-settori, risultando quindi poco utili per cogliere gli effetti di sostituzione a livello micro. Per questa ragione, l’elasticità di sostituzione tra importazioni e produzione domestica non può essere misurata in modo accurato per singolo prodotto. Viceversa, i dati disponibili sulle importazioni e sulla loro origine consentono di stimare l’elasticità di sostituzione tra fornitori esteri.
Sebbene le due elasticità non siano necessariamente uguali per un dato prodotto, è ragionevole ipotizzare che esse risultino correlate. In altre parole, se un bene presenta un’elevata elasticità di sostituzione tra fornitori esteri, è probabile che mostri anche un’alta elasticità di sostituzione rispetto all’offerta nazionale. Al contrario, se i beni importati da Paesi diversi sono poco sostituibili tra loro, è verosimile che abbiano caratteristiche tali da rendere bassa anche l’elasticità di sostituzione rispetto alla produzione domestica. Ne consegue che una misura dell’elasticità di sostituzione tra fornitori esteri può essere utilizzata come proxy dell’elasticità di sostituzione tra importazioni e produzione nazionale.
In questo ambito, presso StudiaBo è attualmente in corso un progetto finalizzato alla stima delle elasticità di sostituzione tra fornitori esteri, utilizzando la banca dati Ulisse e un modello gravitazionale che spiega i flussi commerciali tra due Paesi in funzione dell’intensità complessiva dei loro scambi e del prezzo relativo del flusso rispetto al prezzo medio delle importazioni nel Paese di destinazione. I primi risultati appaiono promettenti e sembrano in grado di fornire almeno una misura approssimata del livello di elasticità di sostituzione tra fornitori esteri e, indirettamente, tra importazioni e produzione nazionale.
La sostituibilità dei prodotti: un fattore da misurare
Finora l’impatto della politica commerciale statunitense sulla domanda estera americana è rimasto contenuto, in parte attenuato dal fenomeno di front-loading registrato nel primo trimestre 2025. Tuttavia, i nuovi dazi “reciproci” – che difficilmente verranno rimossi nel breve periodo – insieme a fattori aggiuntivi come l’inflazione, potrebbero incidere in modo significativo sui prezzi relativi dei beni importati negli Stati Uniti nei prossimi mesi.
Per le imprese europee, il mercato statunitense continua a rappresentare la principale destinazione di export al di fuori del Mercato Unico, con un valore pari a 140 miliardi di euro nel secondo trimestre 2025. In questo contesto, comprendere quanto un prodotto sia facilmente sostituibile sul mercato statunitense costituisce un’informazione strategica per mantenere e rafforzare la competitività.