Superata la soglia di 7 yuan per dollaro

La Cina usa il cambio come strumento di risposta all’aumento delle tariffe americane ?

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La settimana appena terminata si è aperta con il deprezzamento, il 5 agosto, dello Yuan. La banca popolare cinese (People’s Bank of China: PBOC) lunedì ha fissato1 il midpoint del cambio a 6.99, accettando di fatto che esso superasse la soglia di 7 yuan per dollaro. Nel corso della giornata la valuta cinese è arrivata fino a 7.04. Nei giorni successivi lo Yuan ha continuato ad indebolirsi, chiudendo la settimana a 7.06.

L’interpretazione data da Trump via twitter, alcuni minuti dopo il deprezzamento, è quella di un atto voluto ("“currency manipulation") da parte della Cina, in risposta alla politica tariffaria americana.

La relazione tra guerra commerciale e deprezzamento delle Yuan è stata ampiamente analizzata in questo magazine. Si vedano:

L’interpretazione di Trump di una strategia cinese volta a rispondere con la svalutazione dello Yuan all’aumento dei dazi americani, lascia, tuttavia, alcuni dubbi, per i seguenti motivi:

  1. la svalutazione è un strumento di concorrenza internazionale molto più debole rispetto all’aumento dei dazi. Le svalutazioni aumentano la competitività di un paese ma “importano” anche inflazione e trasferiscono risorse fuori dal paese. L’aumento dei dazi, invece, genera maggiori risorse pubbliche che possono essere rimesse nell’economia riducendo le imposte o aumentando i trasferimenti. L’aumento dei dazi è una strategia che può essere, quindi, portata avanti in modo molto più aggressivo rispetto alla svalutazione;
  2. la cronologia degli eventi che lascia supporre che la PBOC abbia solo anticipato valori verso cui il mercato sarebbe comunque andato, mantenendo la parvenza di un’autorità monetaria ancora in grado di fissare il cambio.

Stabilire se la svalutazione dello Yuan è o meno la principale risposta cinese alla guerra commerciale americana è importante per due motivi:

  1. per valutare il rischio di cambio di medio periodo dello Yuan;
  2. per disegnare la possibile evoluzione della guerra commerciale in corso.

La cronologia dei recenti eventi

  1. Il 31 luglio ad termine del 12mo round degli incontri commerciali tra Usa e Cina, svoltisi a Singapore, Trump annuncia via Twitter che il 1 settembre sarà applicato un dazio del 10% sui 300 miliardi di importazioni americane dalla Cina, non gravate dai dazi del 25% del 2018.
  2. Alcuni minuti dopo il tweet di Trump, molte valute dei paesi emergenti iniziano a deprezzarsi. Il primo è il Peso messicano, segue il Real brasiliano e il Rand Sudafricano. Tra questi anche lo Yuan cinese accusa un indebolimento.
  3. Sempre il 31 luglio la FED taglia i tassi di 25 punti base. Questa decisione, letta da molti commentatori come favorevole alle economie emergenti, non interrompe l’indebolimento delle loro valute, segnalando la compattezza delle forze che stanno guidando il mercato verso un loro deprezzamento.
  4. Nei giorni successivi sempre più valute vengono coinvolte nel deprezzamento verso il dollaro. Solo le valute rifugio (Franco Svizzero e Yen), quelle forti (Shekel Israeliano e BahtThailandese) e l’eccezione Lira Turca, resistono alla forza del dollaro.
  5. Il 5 agosto la PBOC prende atto della direzione del mercato e delle forze che lo stanno muovendo e decide di svalutare, portando il midpoint del cambio a 6.99

1) Quotidianamente la banca popolare cinese fissa un midpoint del cambio yuan/dollaro e poi interviene in varie forme sui diversi mercati per contenere le oscillazioni del cambio effettivo all’interno di una range del 2%. E’ un meccanismo simile al Sistema monetario europeo (SME) che alla fine del secolo scorso anticipò la creazione dell’euro. Come è successo alla sterlina e alla lira all’interno dello SME, la fissazione di una parità centrale non significa che la valuta manterrà quei valori. Il 16 settembre 1992 lira e sterlina furono costrette ad uscire dallo SME, perchè il sistema di banche centrali europee non era più in grado di intervenire sul mercato dei cambi per mantenere lira e sterlina all’interno della banda fissata. In presenza di un grado elevato di libertà nei movimenti di capitale, le banche centrali possono non avere strumenti sufficienti a contrarre la direzione del mercato, se questo è “compatto” nelle sue aspettative.