Nuovo colpo di scena in Turchia (e vento in poppa per le valute rifugio)

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Nell’analisi dei tassi di cambio, anche questa settimana la Turchia sale al centro della scena. Dopo il passaggio del tasso d’interesse di riferimento dal 19% a 18% a fine settembre, come discusso in un precedente articolo, nella giornata di ieri la Central Bank of the Republic of Turkey (TCMB) ha ridotto il suo policy rate di altri 200 punti base, arrivando a toccare il 16%.
L’attenzione degli osservatori economici si focalizza quindi sul tasso d’interesse reale, che torna a scendere dopo l’ultima mossa dell’istituto centrale, in un contesto di inflazione pari al 19.6% nel mese di settembre. Per la media del 2021, l’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale prevede un tasso di inflazione al 17%, ed un calo a quota 15% per il 2022. La situazione inflazionistica turca non sembra quindi orientata verso una risoluzione di breve periodo.

Turchia: Prezzi medi al consumo (Var. % in valuta nazionale)
Fonte: Elaborazioni ExportPlanning su dati Fondo Monetario Internazionale.


Secondo quanto dichiarato dalla banca centrale, i motivi di questa scelta risiederebbero nella lotta all’effetto di contrazione dei prestiti commerciali e personali esercitato dagli alti tassi di interesse, che si starebbe rivelando maggiore delle attese.

L’effetto dell’ultima mossa della TCMB sul tasso di cambio della valuta nazionale è stato quello di un inevitabile ulteriore indebolimento: soltanto negli ultimi due giorni, la lira ha perso il 3.7% del suo valore rispetto al dollaro (e il 16.2% dall’inizio di settembre).


Fuga dal rischio?

Non è però soltanto la lira turca ad essere salita al centro della scena forex nel corso della settimana. Allargando lo sguardo, le valute forti sembrano infatti catturare l’attenzione degli analisti, nonché le preferenze degli investitori.
Guardando al dollaro USA, si nota come la valuta stia attualmente attraversando i suoi momenti di maggiore forza nel corso dell’ultimo anno. Nello specifico, il biglietto verde ha raggiunto un punto di massimo a inizio ottobre, toccando quota 1.15 (USD per EUR), per poi chiudere la settimana a 1.16.


Se il trend del dollaro si lega alle aspettative di un atteso ciclo restrittivo della politica monetaria USA, a livello globale tale dinamica sembrerebbe afferire anche ad un diffuso sentiment di fuga dal rischio. Osservando la recente dinamica dei tassi di cambio rispetto al dollaro, si nota la presenza di un indebolimento in America latina e in diversi paesi dell’Est Europa (Romania, Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia), mentre si apprezzano le valute dei paesi nordici europei come la corona svedese, norvegese e la sterlina britannica; stesso trend di rafforzamento anche per il dollaro canadese e australiano.

Last but not least, nel rafforzamento di molteplici valute dei paesi developed non si legge soltanto la ricerca di un porto sicuro. In alcuni casi è infatti necessario citare anche l’attuale questione energetica, ovvero il recente aumento dei prezzi delle commodity, che per alcuni beni hanno superato i livelli antecedenti alla crisi Covid: si pensi ad esempio alle recenti dinamiche di petrolio e gas naturale. Il caso della Russia, paese che non rientra ancora nel cluster degli sviluppati, ma che rappresenta uno dei maggiori esportatori di petrolio su scala mondiale, conferma con il recente rafforzamento della sua valuta il contributo del fattore prezzi alla dinamica dei tassi di cambio.