Luci e ombre dell’export italiano di dispositivi medici

In uno scenario congiunturale non positivo, pesano le incertezze legate all’applicazione del payback

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Il mondo dei dispositivi medici, per quanto ampio ed eterogeneo, rappresenta una parte significativa dell’insieme di tecnologie alla base della salute e del benessere delle persone, caratterizzato da un elevato turnover tecnologico.
Al contrario dei termini “farmaco” e “medicinale”, fortemente radicati nella cultura comune, la terminologia “dispositivo medico” è di diffusione piuttosto recente. La sostanziale differenza tra un farmaco ed un dispositivo medico sta nel meccanismo d’azione: il primo ha un’azione farmacologica, metabolica, immunologica mentre il secondo ha un’azione prettamente fisica. La categoria dei dispositivi medici è quindi estremamente vasta e va dai cerotti agli stent coronarici, agli apparecchi per la TAC.

L’industria italiana di dispositivi medici

Sul panorama italiano, l’industria dei dispositivi medici rappresenta un comparto di specializzazione industriale che ha assunto sempre maggiore rilievo nel corso degli ultimi anni.
Secondo le ultime stime, il settore conta 4.449 aziende, che occupano 118.837 dipendenti all’interno di un tessuto industriale piuttosto eterogeneo, altamente innovativo e specializzato, dove piccole aziende convivono con grandi gruppi.
L’eco-sistema italiano appare fortemente integrato nelle reti di fornitura del Sistema Sanitario Nazionale e vanta un’ampia vocazione internazionale, con una propensione all’export che si stima essere prossima al 45%. Nell’arco del secolo, infatti, le esportazioni del comparto del Belpaese hanno sperimentato una solida crescita: se nel 2000 l’Italia esportava meno di 2 miliardi €, nel 2022 è arrivata a superare la soglia dei 6.7 miliardi (Fig.1).

Fig.1 – Esportazioni italiane di Dispositivi Medici
(miliardi di euro, 1995-2022)


Complessivamente, nel corso del secolo gli esportatori italiani si sono quindi ritagliati un posto nell’arena internazionale, seppur ancora di nicchia, ricoprendo il ruolo di 14° player internazionale e detenendo circa il 2% della domanda mondiale del comparto.

Fig.2 – I principali esportatori di Dispositivi Medici
(global market share, 2022)


Le difficoltà congiunturali

A fronte del quadro di lungo periodo appena descritto, meno positivo appare tuttavia lo scenario congiunturale per gli esportatori del Belpaese.
Il grafico che segue riporta la serie in indice della cumulata annua delle esportazioni nazionali di dispositivi medici comparandola alla media internazionale di riferimento nei valori in euro e nei valori a prezzi costanti (al netto cioè delle modificazioni intervenute dal lato dei prezzi, che consente quindi di cogliere l’evoluzione in quantità).

Fig.3 – Export Italia vs export mondo di Dispositivi Medici
(cumulata annua, index 2021-Q4=100)

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In primo luogo risulta evidente come la congiuntura del settore appare significativamente diversa a seconda che la si valuti in termini nominali o a prezzi costanti: sostenute dall’aumento generalizzato dei prezzi, le esportazioni mondiali di dispositivi medici in valore appaiono infatti ancora in crescita, tuttavia in quantità, il comparto sembra convergere verso un ridimensionamento del proprio ritmo di espansione, a seguito della crescita spiccata segnato soprattutto a seguito del contesto pandemico.
Particolarmente interessante è inoltre segnalare come, sin dal 2017, la performance degli esportatori nazionali ha sostanzialmente dominato la media di riferimento per tutti i periodi, fino ad allinearsi ad essa nel corso del 2021. A partire dai trimestri più recenti, tuttavia, e in particolare dall’inizio del 2022, la dinamica delle esportazioni del Belpaese è risultata sotto-performare la media degli esportatori internazionali.

Tale andamento ha fatto registrare una brusco peggioramento della quota di mercato globale detenuta dall’Italia, già discendente a partire nel post-pandemia, proprio a partire dal 2022 (Fig.4).

Fig.4 – Export di Dispositivi Medici: quota di mercato globale Italia


Le incertezze normative nazionali e la gravosità del payback

Ad aggiungere ulteriori criticità a un comparto per il quale la congiuntura internazionale non risulta particolarmente favorevole, è inoltre il quadro normativo nazionale e, in particolare, le richieste finanziarie derivanti dal payback. Il meccanismo del payback nasce con l’intento di contenere la spesa pubblica ed entra in gioco quando le Regioni sforano il tetto di spesa sanitaria preventivato annualmente, imponendo alle imprese fornitrici di dispositivi medici del SSN di partecipare al ripiano, nella misura del 50% della spesa in eccesso.
Lo strumento, che venne istituito con la Manovra finanziaria 2015 in analogia al meccanismo del payback in vigore per la spesa pubblica farmaceutica, è rimasto in realtà inapplicato fino alla pubblicazione del decreto attuativo in Gazzetta Ufficiale lo scorso 15 settembre 2022, con cui viene certificato il superamento dei tetti di spesa regionali (relativi agli anni 2015-2018) e le somme da ripianare entro gennaio 2023; termine che è stato prorogato a più riprese dal Governo, fino all’attuale scadenza fissata per il prossimo 31 luglio. Per i primi 4 anni la cifra da rimborsare per le aziende era inizialmente pari a 2.1 miliardi euro, “calmierata” tuttavia da un intervento governativo che ha portato alla definizione di una quota ridotta di 1.1 miliardi, al fine di limitare l'impatto della norma sugli equilibri economico-finanziari delle imprese. La misura rimane tuttavia particolarmente significativa, per una mancanza di adeguata liquidità da parte delle imprese a coprire le richieste finanziarie derivanti dal payback; secondo le pre-stime dell’associazione FIFO, la cifra da rimborsare lieviterebbe infatti di altri 1.5 miliardi se si includono anche il 2019 e il 2020, tenuto conto dell’emergenza pandemica (si veda in merito il link). Una recente indagine condotta da Nomisma per PMI Sanità e FIFO stima infatti che il payback possa risultare particolarmente gravoso soprattutto per le PMI, tipicamente più fragili e meno capitalizzate, che sarebbero chiamate a versare un importo pari a oltre un terzo dei margini lordi e oltre il 60% degli utili prodotti nell'ultimo esercizio.

Sul panorama nazionale quello del payback è quindi una tema che rimane vivo e di assoluta attualità. Una notizia degli ultimi giorni proviene infatti dal TAR del Lazio, che lo scorso 27 giugno si è pronunciato sulle richieste di sospensiva del provvedimento avanzate da una decina di aziende coinvolte, accogliendole tutte indistintamente, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda e dal livello di sofferenza economica.
I prossimi mesi saranno quindi cruciali per il possibile rilancio di un settore come quello dei dispositivi medici su cui gravano incertezze di diversa natura, legate sia allo scenario internazionale sia al contesto normativo di riferimento che rischia di gravare as is sulla competitività delle aziende italiane.