L’importanza delle Global Value Chain per le imprese italiane

Un’ulteriore opportunità per aiutare le PMI a competere sui mercati internazionali superando i limiti dimensionali

.

Mercati esteri Export Italia

Accedi con il tuo account per utilizzare le funzioni stampa migliorata (pretty print) e includi articolo (embed).
Non sei ancora registrato? registrati!

Il tema della dimensione d’impresa e della sua influenza all’interno di un processo di internazionalizzazione è stato spesso oggetto di interesse della letteratura economica, anche a fronte della composizione del tessuto economico italiano, costituito prevalentemente da PMI.
I vantaggi tipici di una dimensione più ridotta, come quelli dell’agilità, dell’adattabilità e di una specializzazione di nicchia, si scontrano infatti con le sfide legate alle limitazioni finanziarie o alle limitate economie di scale, con l’esito di esporre imprese troppo piccole ai rischi della sfida globale.

Sebbene il dibattito rimanga ancora aperto, alcune soluzioni possibili hanno puntato alla ricerca di un equilibrio ottimale, attraverso collaborazioni, reti di imprese o strategie di crescita mirate, capaci di assicurare un irrobustimento della capacità di competere all’estero anche per classi dimensionali di impresa medio-piccole.

Un ulteriore soluzione, ampiamente analizzata dalla letteratura economica, è quella del possibile ruolo delle PMI all’interno della Global Value Chain (GVC). In Italia, questo fenomeno non risulta essere estraneo: già diversi settori presentano infatti un’elevata partecipazione alle catene del valore, con livelli paragonabili a quelli di Francia e Germania. Tuttavia, uno dei maggiori rischi che si può riscontrare all’interno delle GVC riguarda la propagazione di shock economici o extra-economici, in quanto possono influenzare o compromettere gli scambi internazionali tra imprese di paesi diversi (ad esempio, la pandemia Covid-19).

La Global Value Chain

Quando si parla di Global Value Chain si fa riferimento a una rete con grandi multinazionali (firm leader) che coordinano le attività di molte imprese posizionate a monte o a valle. La Global Value Chain è quindi un modello organizzativo basato sulla frammentazione del processo produttivo in singole fasi, assegnate a imprese diverse in paesi diversi.
In questo contesto, è emerso che le imprese italiane si collocano maggiormente a monte della filiera internazionale, identificandosi principalmente come fornitori di grandi imprese multinazionali. Per le imprese di piccola e media dimensione, questo potrebbe tradursi in un’occasione per diventare fornitori strategici di imprese leader, godendo di notevoli vantaggi competitivi.
A caratterizzare la Global Value Chain è lo scambio di beni intermedi, ossia parti e componenti utilizzati come input produttivi per la realizzazione di beni finali. Essi rappresentano una parte molto rilevante dei flussi di scambio e, costituendo l’ossatura delle filiere internazionali, possono essere interpretati come una proxy dello sviluppo delle GVC.

Fonte:"World Development Report 2020. Trading for development in the age of Global Value Chain". The World Bank, 2019

L’analisi

Analizzando il posizionamento delle imprese italiane negli scambi internazionali (Catene di Fornitura. Tra nuova Globalizzazione e autonomia strategica, Ricerche Centro Studi Confindustria 2023), le imprese italiane sono state classificate in base alla loro forma di internazionalizzazione: imprese solo importatrici, solo esportatrici, imprese che effettuano sia attività di esportazione che di importazione (two-way-traders), imprese che esportano in almeno cinque aree extra UE e imprese partecipanti in multinazionali a controllo italiano o estero.
Successivamente è stata valutata la partecipazione di tali imprese nella GVC, considerando coinvolte le unità che sono contemporanamente esportatrici e importatrici di beni intermedi o le unità che esportano esclusivamente tali beni. Le multinazionali (sia a controllo italiano che estero), sono di per sè considerate coinvolte nelle catene globali di valore.
L’analisi si è focalizzata sul settore manifatturiero italiano (periodo 2019), in quanto esso rappresenta la maggior parte delle esportazioni complessive dell’intero sistema produttivo italiano. Prima della crisi pandemica, appena oltre il 40% delle imprese manifatturirere che avevano relazioni commerciali con l’estero erano coinvolte in catene globali del valore, ma meno del 13% faceva parte di un gruppo multinazionale a controllo italiano (8.9%) o estero (4.0%). Inoltre, è emerso che il coinvolgimento della manifattura italiana nelle GVC non è stato tanto significativo in termini numerici, quanto in termini economici: le imprese inserite nella GVC hanno generato oltre l’80% del valore aggiunto e oltre il 90% dell’export complessivo delle imprese attive negli scambi con l’estero.

I risultati emersi dall’analisi affermano che le imprese partecipanti a catene globali di valore mostrano livelli di produttività (in termini di valore aggiunto per addetto) più elevati, con un ulteriore vantaggio derivante dall’appartenenza a gruppi multinazionali (+26% per i gruppi a controllo italiano e +28% per quelli a controllo estero).

Fonte:"Catene di fornitura. Tra Nuova globalizzazione e autonomia strategica". Ricerche Centro Studi Confindustria, 2023"

L’aspetto particolarmente interessante è evidenziare come questo sia solo parzialmente legato alla dimensione delle imprese. Come mostrato dal grafico , infatti, nel 2019 circa l’85% delle imprese di dimensione micro o piccola partecipavano alle GVC senza appartenere a gruppi multinazionali, mentre poco più del 40% operava nella catena di valore in quanto parte di multinazionali. Le piccole imprese attive nelle GVC (10-49 addetti) presentavano una produttività del lavoro più elevata di quella delle unità più grandi (50-249 addetti) non coinvolte nelle filiere internazionali, con livelli massimi per quelle appartenenti a gruppi multinazionali. In altri termini: la partecipazione alle catene globali del valore può, almeno in parte, compensare le limitazioni legate alle ridotte dimensioni aziendali.

Si è notato, infine, che i settori che presentano la maggiore quota di imprese partecipanti alle GVC sono quelli ad alto contenuto tecnologico (chimico, farmaceutico, autoveicoli e apparecchiature elettroniche), dove la specializzazione verticale risulta essere più accentuata allo scopo di realizzare prodotti più complessi.
Dunque, l’analisi evidenzia un ulteriore vantaggio in termini di produttività e performance per le imprese che partecipano alle GVC, offrendo anche un incentivo (seppur limitante in termini di autonomia strategica) per le micro e piccole imprese ad accedere al mercato internazionale.

La partecipazione alle GVC presenta tuttavia anche alcune sfide. In primo luogo, la dipendenza da fornitori e clienti costituisce una vulnerabilità significativa: interruzioni nella catena di approvvigionamento o la perdita di clienti chiave possono avere impatti notevoli sulle operazioni e sulle entrate delle PMI coinvolte. Un secondo aspetto rilevante da tenere in considerazione attiene agli aspetti strategici: quando le imprese non sviluppano una strategia interna, ma affidano la gestione delle loro attività nelle GVC a terze parti, potrebbero essere esposte a una perdita di controllo sui processi e sulle decisioni chiave, rischiando di compromettere la loro competitività e sostenibilità nel lungo termine.